Parkinson: uno studio italiano apre la strada a nuove frontiere. Non tutti i pazienti sono uguali e nuove possibilità di monitorare il cervello
Il Parkinson è una di quelle malattie degenerative per le quali non esiste, ancora, una cura davvero risolutiva. Ogni anno il 30 novembre ricorre la Giornata nazionale del Parkinson per ricordare a tutti che questa malattia, per molto tempo invisibile, ha bisogno di attenzione e studio.
La ricerca però sta facendo passi in avanti e ogni piccola nuova scoperta consente di fare un significativo upgrate per conoscere in modo più approfondito la malattia. Oggi, infatti, grazie ad uno studio che porta la firma italiana si è capito che non tutti i pazienti sono uguali e che tramite alcune attività celebrali da monitorare si può capire con largo anticipo il mostrarsi della patologia.
Parkinson: le novità dello studio italiano
Usare un metodo classico e non invasivo per attenzionare le diverse aree del cervello, anche durante il sonno, per comprendere cosa avviene in differenti aree celebrali e individuare con largo anticipo una mappa del cervello avendo una comprensione più precisa ed efficace.
È quello a cui è giunto il team del Laboratorio di Neurofisiologia clinica diretto da Alessandro Stefani, professore associato di Neurologia e responsabile dell’Uos Dipartimentale della Malattia del Parkinson del Policlinico Tor Verga, Roma che ha lavorato in collaborazione con il Centro di Neuroscienze dell’Università di Padova, in particolare con Angelo Antonini e Andrea Guerra.
Il gruppo di ricerca ha usato uno strumento tradizionale, l’elettroencefalogramma ma con un approccio all’avanguardia in quanto è stato potenziato dall’inserimento di un grande numero di elettrodi. Un sistema che così composto ha permesso di analizzare le diverse aree del cervello e la comunicazione che avviene tra di loro.
Cosa sarà possibile fare
È una procedura non invasiva e di durata breve quella che ha messo a punto il team che permette di tracciare l’attività delle singole aree del cervello e di costruire conseguentemente una mappa molto precisa e dettagliata delle connessioni celebrali che avvengono.
Si ottengono così informazioni preziose come la presenza di disturbi del sonno che possono orientare nuove terapie e aiutare a effettuare delle ipotesi nuove e diverse. Lo studio aiuta a capire anche come malati all’apparenza simili hanno, in realtà, deficit cognitivi differenti.
“Le nostre registrazioni non invasive – ha spiegato il team – ci dicono che il cambiamento di alcune connessioni cerebrali è in relazione al danno, permettendoci di distinguere un malato da uno sano sin dalle primissime fasi di malattia”.