Drammatico il risultato di una recente ricerca: la spesa pubblica per la sanità italiana è molto critica rispetto agli altri Paesi.
L’Italia si trova in una posizione piuttosto allarmante per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica, collocandosi al 16º posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e, fatto ancor più preoccupante, ultima tra i Paesi del G7.
In questo momento, la percentuale del PIL che l’Italia investe sulla sanità è il 6,2%, un valore decisamente inferiore rispetto alla media OCSE del 6,9% e alla media europea del 6,8%. Il divario con i Paesi che investono di più è importante: ad esempio, la Germania dedica ben il 10,1% del PIL alla sanità, mentre la Norvegia, con il 6,8%, si colloca appena sopra l’Italia.
La ricerca sulle spese italiane per la sanità pubblica: la situazione è critica
Questi dati emergono dal dataset OCED Health Statistics del 2023, un rapporto che analizza dettagliatamente la spesa sanitaria pubblica in percentuale del PIL, pro-capite a prezzi correnti e in parità di potere d’acquisto per i Paesi dell’area OCSE.
La spesa sanitaria pubblica non è uguale in tutti i Paesi europei, così come non lo è la fonte dei finanziamenti destinati alla sanità. In Italia, il principale strumento di finanziamento è la fiscalità generale, mentre in altri Paesi, come Germania o Francia, è più frequente l’assicurazione sociale obbligatoria o quella privata obbligatoria.
Questo rapporto è stato analizzato dalla Fondazione Gimbe, con l’obiettivo di fornire dati oggettivi e concreti per alimentare il dibattito pubblico e le discussioni politiche in merito al sistema sanitario italiano.
Si tratta di informazioni di particolare rilevanza in vista dell’imminente Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NADEF) e della legge di Bilancio 2025. Questi saranno momenti determinanti per il futuro del finanziamento sanitario nel Paese. Secondo la Fondazione Gimbe, il divario tra l’Italia e gli altri Paesi europei si è ampliato progressivamente a partire dal 2010, anno in cui sono iniziati i tagli e i definanziamenti nel settore sanitario.
In particolare, il gap tra l’Italia e la media dei Paesi europei ha raggiunto nel 2023 una differenza complessiva di oltre 47,6 miliardi di euro. Questo divario, afferma il presidente della Fondazione, Nino Cartambellotta, al quotidiano l’Avvenire, è uno dei segnali più evidenti della crisi che sta attraversando il sistema sanitario nazionale.
Il presidente ha commentato con preoccupazione i dati, affermando che l’Italia, in termini di spesa sanitaria pubblica, si colloca «al primo posto tra i Paesi poveri», superando solamente nazioni come Spagna, Portogallo e Grecia, oltre ad alcuni Paesi dell’Est Europa.
L’aumento del divario con le altre economie avanzate dell’Europa non è un fenomeno nuovo, ma ha subito un’accelerazione negli ultimi anni a causa della mancanza di investimenti strutturali nel sistema sanitario.
Il quadro non lascia spazio a dubbi: senza un intervento immediato, il sistema sanitario pubblico italiano rischia di essere compromesso. La perdita di un SSN pubblico, fondato sulla fiscalità generale e su principi di universalità, uguaglianza ed equità, potrebbe portare a un vero e proprio disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti.
Secondo Cartabellotta, se non si agisce rapidamente, il Paese rischia di assistere a una transizione da un sistema sanitario nazionale, pensato per garantire un diritto costituzionale a tutti i cittadini, a sistemi sanitari regionali autonomi, dominati dalle regole del mercato e accessibili solo a chi ha le risorse economiche per pagare le prestazioni o stipulare polizze assicurative.
La Fondazione Gimbe ha quindi avanzato una richiesta urgente all’esecutivo italiano: un rilancio del finanziamento pubblico per la sanità, da attuare attraverso riforme e interventi strutturali. L’obiettivo deve essere garantire il diritto alla salute per tutti i cittadini italiani, senza discriminazioni economiche o geografiche. La situazione attuale vede, infatti, una crescente disuguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari, con le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani fragili e i cittadini residenti nel Mezzogiorno particolarmente penalizzati.
Il problema della sanità in Italia non riguarda solo la quantità di risorse destinate al settore, ma anche la qualità della gestione di queste risorse. Il Paese, infatti, è alle prese con inefficienze strutturali che rendono difficile la distribuzione equa delle prestazioni sanitarie. Il sistema sanitario regionale, pur avendo alcuni vantaggi in termini di autonomia locale, ha mostrato negli anni importanti differenze in termini di efficienza e qualità delle cure offerte, con regioni del Nord che riescono a garantire standard sanitari più alti rispetto al Sud.
Il futuro della sanità pubblica italiana dipenderà in gran parte dalle scelte che verranno fatte nei prossimi mesi, in particolare nella definizione della legge di Bilancio 2025. L’Italia dovrà affrontare la sfida di riallineare la propria spesa sanitaria ai livelli dei principali Paesi europei, garantendo nel contempo che queste risorse vengano utilizzate in modo efficace per migliorare i servizi offerti alla popolazione.
Solo attraverso una politica sanitaria lungimirante, basata su investimenti adeguati e riforme strutturali, sarà possibile preservare un sistema sanitario pubblico in grado di rispondere ai bisogni di salute di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro condizioni economiche o dalla regione in cui vivono.