La storia di Sadamichi Hirasawa: condannato per un avvelenamento di massa che sconvolse tutto il mondo. Tutti i dubbi e le perplessità sul caso.
Ci troviamo davanti ad uno dei casi di cronaca nera più sconvolgenti della storia. Ma andiamo per gradi. Facciamo un salto indietro nel tempo e arriviamo al 26 gennaio del 1948 quando Sadamichi Hirasawa (pittore giapponese) si diresse verso la banca Shiinamachi nella periferia di Tokyo, affermando di essere un ufficiale sanitario che era stato inviato dagli americani per somministrare ai dipendenti un vaccino contro un’epidemia di dissenteria.
Immediatamente tutti i presenti presero la pillola offerta dall’uomo ignari del fatto che potesse trattarsi di un potente veleno: stiamo parlando del cianuro di potassio che condusse i primi 10 alla morte immediata, mentre altri due vennero ricoverati in ospedale. Inoltre, portò via dalla banca ben 160.000 ¥. Entriamo ancora di più nel dettaglio della vicenda: prima di lasciare la banca il pittore aveva adagiato un biglietto fingendosi Shiregu Matui – uomo che effettivamente lavorava al Ministero della Salute e che dovette dimostrare in tribunale il suo alibi per uscire dalla lista dei sospettati. Fu in grado però di aiutare le forze dell’ordine ad intercettare Sadamichi Hirasawa.
Quest’ultimo divenne, infatti, il principale sospettato della barbarie, ma non fu in grado di presentare il bigliettino da visita sostenendo che il suo portafogli era stato precedentemente rubato. Furono anche altri elementi che avvalorarono la sua colpevolezza: mi riferisco ad un ingente somma di denaro trovata in banca e di cui rifiuto di dire la provenienza.
Siamo nell’agosto del 1948 quando il pittore giapponese viene arrestato con due capi di accusa: omicidio e arresto. Allora nel paese la tortura era ancora prevista per fare confessare i prigionieri, ma non è dato sapere cosa accade in quella circostanza. Fatto sta che l’uomo cambiò diverse volte versione dei fatti e nel 1950 fu condannato alla pena capitale. Il pittore non venne mai impiccato, ma morì nel 1987 per una polmonite.
Vi starete domandando se la storia finisce qui? In realtà no, proprio perché sorsero numerosi dubbi circa la sua colpevolezza. Intervenne in tal proposito il figlio adottivo del pittore il quale sosteneva la sua innocenza: nel corso degli anni decise anche di allestire delle mostre per portare avanti il buon nome del padre – che aveva continuato la sua attività anche in carcere.
Purtroppo l’uomo non fu in grado di battersi come avrebbe voluto per l’apertura del caso, poiché morì a soli 54 anni nella sua abitazione. Tutta la vicenda colpì profondamente il famoso scrittore Seichō Matsumoto il quale sosteneva l’innocenza del pittore e portò avanti la teoria secondo il quale fu soltanto un capro espiatorio all’interno di una vicenda ben più grande di quanto si possa immaginare.
Iniziò, infatti, con il sostenere che la confessione (di cui abbiamo parlato in precedenza) venne estorta al pittore solo sotto tortura, ragion per cui furono le minacce e le percosse a farlo parlare. Inoltre anche per quel che riguarda la cospicua somma di denaro ritrovata in banca, venne attribuita alla commissione di alcuni disegni di genere per adulto che non volle ammettere di avere realizzato per non gettare un’onta sulla sua carriera.
Alcuni sospetti sopraggiunsero anche per quel che riguarda il riconoscimento del pittore da parte dei testimoni: questo passaggio non venne effettuato immediatamente dopo l’arresto, ma solo dei mesi più tardi quando ormai il suo volto era su tutti i giornali in quanto principale sospettato. Sostenne che questi ultimi fossero stati spinti a dire che Hirasawa era il colpevole. Ma non finisce qui: si era detto che il veleno utilizzato fosse del cianuro di potassio – letale e veloce nel suo agire, ma in realtà le vittime morirono lentamente e alcune addirittura sopravvissero.
Analisi più approfondite riuscirono a stabilire che si trattava di acetoncianidrina: ossia un particolare composto adoperato soltanto dei militari, ragion per cui il pittore non avrebbe potuto procurarselo. Lo scrittore Matsumoto giunse ad un importante conclusione: ritenne, infatti, che il colpevole avrebbe potuto essere un membro della famosa Unità 731, ossia un’unità segreta di ricerca che sviluppava armi chimiche e biologiche attiva durante gli anni della seconda guerra mondiale.