L’amniocentesi in gravidanza è davvero così utile come dicono? Scopriamo tutti i rischi che comporta questo esame così tanto discusso
Quando scopriamo di essere in dolce attesa, dopo un primo momento di gioia, ci ritroviamo travolti da tantissime preoccupazioni. Da una parte ci ritroviamo a pensare al momento in cui metteremo al mondo il nostro bambino o la nostra bambina, d’altra parte c’è la paura che qualcosa possa andare storto, la paura di non farcela o che, ancora peggio, al piccolo o alla piccola possa accadere qualcosa. Con una gravidanza si imparano moltissime cose. Durante questo percorso che dura nove lunghissimi mesi, ci capita ovviamente di scontrarci con la parola “amniocentesi”. Siamo tutti sicuri di sapere quello che vuol dire?
Partiamo subito dal presupposto che “amnio” (che vuol dire involucro embrionale) e “centresis” (puntura), e consiste poi nella tecnica del prelievo del liquido amniotico attraverso una puntura molto piccola. A cosa serve però questo esame? E quando è arrivato il momento di decidere se sottoporsi a questo esame oppure no? Rispondiamo a tutti i vostri dubbi in questo articolo, dove potrete informarvi e prendere la decisione che più vi sembra adatta al vostro tipo di situazione.
L’amniocentesi è un esame che consiste in un prelievo transaddominale di una piccola quantità di liquido amniotico, ovvero quello che protegge e circonda il bambino che si trova all’interno dell’utero. Con questa procedura si possono ottenere dei campioni biologici che permettono di effettuare una vera e propria diagnosi prenatale: a quel punto, è possibile individuare la presenza di eventuali anomalie congenite come la sindrome di Down. Oppure, addirittura, delle malattie genetiche come la distrofia muscolare, la fibrosi cistica, la talassemia, la fenicheltonuria.
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L’amniocentesi può essere utilizzata pure per eseguire, ad esempio, delle analisi biochimiche finalizzate alla diagnosi di errori del metabolismo e malattie infettive del feto. Le cellule fetali che sono presenti all’interno nel campione di liquido prelevato vengono coltivate in vitro e poi sottoposte a degli esami per poter individuare delle possibili anomalie. Oppure alla ricerca di mutazioni genetiche specifiche.
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Grazie all’analisi del liquido amniotico prelevato si stabilisce il cariotipo del feto, cioè la sua “carta d’identità” cromosomica. Se dall’analisi del liquido amniotico risulta la presenza di un’anomalia del cariotipo fetale, i genitori possono decidere, con il supporto dei medici, di proseguire la gravidanza o interromperla. Proprio per questo è molto importante consultare il proprio ginecologo e valutare se fare o meno un esame di questo tipo nel corso dei nove mesi.
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Ci sono tre tipi di esami: l’amniocentesi tradizionale, il cariotipo molecolare e l’amniocentesi genomica. Con l’amniocentesi tradizionale vengono indagate le varie anomalie cromosomiche mediante lo studio del cariotipo del feto. Le cellulare fetali che sono presenti nel campione di liquido che viene prelevato vengono trattate con cultura in vitro per circa 15.20 giorni e, infine, sottoposta a esami per individuare delle eventuali anomalie cromosomiche oppure alla ricerca di nutazioni specifiche genetiche.
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L’amniocentesi genomica è conosciuta pure come NGPD: in molti la definiscono una forma di amniocentesi potenziata, in quanto permette di ottenere dei risultati ancora più precisi e approfonditi rispetto al cariotipo molecolare. Chi ha dei dubbi, di solito sceglie proprio questo tipo per sentirsi più tranquilla e vivere il parto con estrema serenità e anche sicurezza.