Cosa contengono davvero le farine italiane? Un test ha analizzato le 14 marche più contaminate da pesticidi e glifosato. Tutti i dettagli.
Le farine italiane sono davvero sicure? Per scoprirlo, bisogna prestare attenzione alla provenienza dei prodotti che compriamo, fondamentale per evitare il rischio da contaminazione. A questo proposito, Il Salvagente ha analizzato 14 marche di farine, riscontrando tracce di pesticidi e glifosato. Tutti i dettagli.
Il Salvagente ha testato a laboratorio 14 marche di farine italiane al fine di analizzarne il contenuto proteico e l’eventuale presenza di sostanze problematiche, come pesticidi e glifosato.
Conoscere la provenienza del grano e delle coltivazioni dalle quali i prodotti che compriamo sono ricavati è fondamentale per evitare qualsiasi rischio di contaminazione. Ultimamente, infatti, sono tanti i casi di impiego di pesticidi nelle colture intensive, o di contaminazione del grano italiano e statunitense.
Rispetto al 2019, le farine italiane hanno superato con sufficienza l’indagine alimentare, fatta eccezione per un marchio in particolare. Tra le marche di farina prese in esame, rientrano:
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In linea di massima, quasi tutte le farine analizzate hanno superato positivamente il test, eccetto per un singolo marchio. Si tratta della farina di manitoba Carrefour contaminata da tracce di glifosato, un potente erbicida tossico. Oltre al glifosato, erano presenti anche altre sostanze problematiche tra cui: cipermetrina, deltametrina, pirimifos metile, piperonil butoxide. Un punteggio scarso anche per Casillo Manitoba e Lidl Belbake Farina Di Grano Tenero.
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La contaminazione del grano duro statunitense è una questione piuttosto delicata. L’impiego massiccio di insetticidi e pesticidi, tra cui il glifosato, si deve ad un’accelerazione della maturazione del grano, nelle grandi coltivazioni del Nord America. Infatti, il ciclo di coltura regolare va da aprile a settembre, un periodo piuttosto breve entro cui portare a termine i raccolti per evitare la stagione delle piogge.
Un discorso diverso per il grano tenero che invece ha un ciclo di coltura autunno invernale. Si tratta di un periodo molto più lungo in cui le aziende non hanno urgenza né necessità di impiegare pesticidi.
Il Salvagente specifica inoltre che solo il 35/40% del grano italiano viene impiegato per realizzare farine nostrane, mentre il restante 60% proviene dagli Stati Uniti o dal Canada, dove l’utilizzo dei pesticidi è largamente consentito. Non sempre i produttori specificano la provenienza del grano, chiudendo un occhio sulla salute dei consumatori.
L’applicazione di pesticidi nella pratica agricola ha effetti negativi; molti pesticidi sono dannosi per l’ambiente e sono noti o sospettati di essere tossici per l’uomo. La crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per i possibili rischi per la salute ha modificato profondamente le strategie di protezione delle colture.
Inoltre ha posto l’accento soprattutto sulla qualità e sulla sicurezza degli alimenti. Le diffuse preoccupazioni per la salute hanno portato a una rigida regolamentazione dei limiti massimi di residui (LMR) di pesticidi nei prodotti alimentari.
Ad oggi, sono stati fissati più di 17.000 LMR della Comunità europea per 133 sostanze attive antiparassitarie in diversi prodotti di base. I pesticidi vengono utilizzati da molti anni. In passato venivano utilizzati per proteggersi da funghi e insetti parassiti e/o per preservare la qualità.
Il grande aumento nell’uso dei pesticidi si è verificato con lo sviluppo di nuove sostanze chimiche organiche dopo le due grandi guerre mondiali: la prima e la seconda guerra mondiale. Oltre alle sostanze chimiche utilizzate per il controllo di funghi e insetti, sono stati introdotti nuovi sviluppi come nematocidi, erbicidi, rodenticidi, avicidi, defolianti e conservanti del legno.
Le discussioni sui rischi associati all’esposizione umana ai pesticidi prestano particolare attenzione all’avvelenamento diretto e alla mortalità, alla potenziale induzione del cancro, agli effetti sulla riproduzione e sui sistemi immunitario e nervoso, al diabete, ai disturbi neurodegenerativi come il morbo di Parkinson, alle malattie croniche e ai danni genetici, alle modifiche epigenetiche, alle alterazioni endocrine, alla disfunzione mitocondriale, allo stress ossidativo, allo stress del reticolo endoplasmatico e alla diminuzione dell’intelligenza