Gli studiosi hanno scoperto la proteina che tiene libere le arterie e previene l’infarto, ecco tutti i dettagli della ricerca.
Buone notizie per evitare il rischio di infarto. Un infarto può verificarsi all’improvviso: una persona può fare un infarto in qualsiasi momento. Questa è una difficile verità che va accettata. Ma un infarto potrebbe sopraggiungere piano piano in modo da dare il tempo di intervenire e risolvere la situazione in tempo. Per questi motivi, ad ogni modo, è necessario tenere sempre molto alta l’attenzione sulla prevenzione.
A questo proposito gli studiosi sono sempre al lavoro per cercare di migliorare le informazioni, le ipotesi, quello che si sa e che non è del tutto chiaro. Dagli Stati Uniti arriva una possibilità che potrebbe essere rivoluzionaria e che si concentra su una singola proteina che può liberare le arterie dal colesterolo cattivo e dalla placca che questo produce. In questo modo la circolazione non sarà compromessa.
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Lo studio è già stato pubblicato e presto si applicherà a migliaia di volontari. Ma cerchiamo di capire meglio di che cosa si tratta e qual è la proteina coinvolta nella ricerca.
Infarto: la proteina che può prevenirlo
Ogni anno ci sono solo in Italia oltre 130.000 persone che sono vittime di infarto. Il 20% di queste ne subiscono un secondo nell’arco di un anno dal primo. Questo accade perché il muscolo cardiaco si danneggia e subisce dei danni. Mentre sono all’attivo degli studi per riparare questi danni, alcune ricerche hanno individuato una proteina molto preziosa.
Si tratta della apolipoproteina apoA-I. La sua azione è descritta come una “spugna” che raccoglie tutto il grasso che incontra. In questo modo può liberare le arterie dalla placca formata dal colesterolo cattivo in eccesso. Se le arterie sono libere, la circolazione del sangue e l’apporto di ossigeno al cuore e agli altri organi migliora mantenendo l’organo e la persona in salute.
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Anche in Italia sono pronti per applicare questo metodo: iniettare la proteina, soprattutto a chi ha già avuto un infarto e farlo nei 90 giorni che seguono il primo attacco. È il periodo in cui si è maggiormente vulnerabili ad altre patologie cardiache o alla stessa. Una persona è già stata inserita nel programma con quattro infusioni endovenose nell’arco di alcune settimane e sembra procedere tutto per il meglio.