Gli scienziati della Johns Hopkins Medicine hanno svelato come una certa molecola di zucchero potrebbe aumentare il rischio di Alzheimer.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce le persone in età presenile, causando perdita di memoria, inficiando la capacità di ragionamento e, più in generale, compromettendo le funzioni cognitive. Ad oggi, si tratta di una patologia incurabile e difficilmente diagnosticabile in modo tempestivo. I ricercatori hanno scoperto che una specifica molecola di zucchero potrebbe avere un ruolo chiave nello sviluppo del morbo di Alzheimer.
Lo studio sugli effetti del glicano
Gli studiosi sono partiti dall’assunzione per cui a causare la malattia è l’accumulo di proteine nocive, note come tau e amiloide, che causano la morte delle cellule nervose del cervello.
A ripulire queste forme nocive di proteine dovrebbero essere le microciglia, ovvero cellule immunitarie cerebrali. La produzione in eccesso di un certo zucchero, però, potrebbe compromettere il processo di pulizia, determinando l’insorgenza di Alzheimer.
Questa specifica molecola di zucchero è nota come glicano o CD33. Gli esperti hanno esaminato il tessuto cerebrale di cinque persone morte a causa della malattia neurodegenerativa, nel tentativo di capire da quale proteina questo zucchero fosse traportato.
Si tratta del recettore tirosina fosfatasi (RPTP) zeta, che legandosi al glicano dà origine a una struttura glicoproteica che i ricercatori hanno chiamato RPTP zeta S3L.
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Qual è il legame tra Alzheimer e zucchero?
Perché la presenta di questa particolare molecola di zucchero risulta collegata a un maggior rischio di insorgenza del morbo di Alzheimer?
L’esperimento ha messo in luce che il tessuto cerebrali delle persone decedute a causa dell’Alzheimer aveva più del doppio di RPTP zeta S3L rispetto a chi non era affetto dalla patologia.
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L’unione tra proteine specializzate e molecole di zucchero, che dà vita alle glicoproteine, sarebbe in grado di ridurre la capacità del cervello di eliminare le proteine dannose.
Per questo, la scoperta del team di ricerca della Johns Hopkins Medicine rappresenta un passo avanti nella realizzazione di terapie farmacologiche mirate e nella formulazione di una diagnosi precoce contro questa patologia neurodegenerativa.
Il prossimo step degli scienziati, infatti, è di indagare ulteriormente questa complessa struttura RPTP zeta S3L