La leggenda della Tartaruga ci insegna l’importanza della resilienza: un racconto da cui abbiamo tutto ancora da imparare e conoscere
La resilienza: questa parola ha subito nel corso degli ultimi anni una popolarizzazione che l’ha sensibilmente banalizzata, andando a segnare e semplificare di molto il suo significato.
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La resilienza è una parola che molto spesso abusiamo e utilizziamo a sproposito. In realtà questa dovrebbe connotare un preciso motore psicologico, una qualità fondamentale nella vita. Qualità molto più complessa di quello che non si pensi, molto di più della banalizzazione che ne è nata. La resilienza è la capacità di rimaner fermi, saldi, nelle avversità, nei momenti difficili. Non vuol dire non essere sconfitti o non patire ma più di tutto vuol dire continuare il proprio percorso, pur con le nostre fragilità.
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Di questa forza lenta, un simbolo molto comune è per esempio la ginestra di Leopardi o anche un animale molto simpatico che abita i nostri mari, cioè la forte tartaruga. E perché un animale così innocuo e bonaccione come la tartaruga dovrebbe rappresentare una qualità simile? La tartaruga, col suo carpace, rappresenta la fortezza, la capacità di difendersi da predatori molto più grandi di lei. Essa prosegue, o così la immaginiamo, lenta nelle acque mediterranee, certa del suo percorso.
D’altra parta la tartaruga ha un significato simbolico estremamente forte; basti pensare che in antiche civiltà la tartaruga rappresentava la volta celeste, per altre ancora l’incontro tra cielo e terra, e ancora per altri addirittura l’origine della terra stessa.
Un’antica leggenda infatti narra che molto tempo fa uomini e divinità abitavano nello stesso mondo celeste. Un giorno fu scoperto un albero che, squarciando con le radici la nuvola sottostante, cresceva al di sotto. All’origine delle radici fu trovato un grumo di terra portato sul guscio da una tartaruga: quel pugno di terreno crebbe a tal punto da divenire presto l’intero mondo.