Terapia narrativa: quando la psicoterapia passa dalla penna. E’ una tecnica che vale la pena conoscere per stare meglio con sé
La maggior parte della popolazione italiana, forse mondiale, non scrive. O meglio: non scrive in modo ricreativo. L’ultima volta che magari si è preso una penna in mano con l’intento di scrivere su di un foglio bianco si era a scuola e si era molto probabilmente costretti dalla traccia di un tema. Dopo di allora, il diluvio e la cancellazione totale della scrittura stessa nella vita di ciascuno. E’ ovvio, in parte, che non si scriva: la struttura, in special modo quella a mano, anche se non fa differenza totale anche la scrittura al pc, è un’attività estremamente lenta, che ha bisogno di tempo, di uno spazio sereno, disteso. Una sorta di oasi che la contemporaneità non concede: tra un impegno e l’altro, risulta molto difficile sedersi e…scrivere. Ma perché vale la pena ricominciare? e che c’entra la scrittura con la psicoterapia?
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La scrittura connessa con la psicoterapia passa da una consapevolezza molto semplice: la nostra identità è connessa con una serie di narrazioni di noi stessi. Abbiamo una serie di aneddoti e di certezze che ci raccontiamo o raccontiamo agli altri, dai significati espliciti o meno. Questa serie di racconti che ci ronzano in testa ci creano un’identità e uno stato mentale.
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Se ci descriviamo spesso come persone tristi, tenderemo ad esserlo. Al contrario se facciamo di noi narrazioni sempre felici, probabilmente siamo afflitti da una positività tossica che soffoca le nostre reali emozioni. Insomma, dai racconti che facciamo, di noi si capisce molto. Motivo per cui cambiare queste narrazioni, cambia la nostra vita. E’ una sorta di auto-narrazione e di auto-avveramento. Scriviamo una profezia che si auto-avvera di cui siamo i soli autori: motivo per cui è importante imparare, tramite il supporto di uno specialista, a fare di noi una story-telling corretta.