Questo è un mondo che non ama gli introversi e li considera timidi, anti-sociali, freddi. Ecco da dove nascono questi falsi miti
In un modo dove la socialità è estremizzata, dove ogni cosa è da condividere, vivere in gruppo, dove l’unità minima individuale a stento esiste realmente oltre i lidi virtuali dei social network, chi invece sia volto all’interno è quasi un alieno fuori dal mondo. Non a caso è usata la definizione volto all’interno: un modo più esteso di dire quello che una parola, in realtà abusatissima, indica; introverso, colui che è volto dentro. Quel che sfugge ai più è che, pur volto alla sua interiorità, pur soppesando in maniera definita i propri limiti, conoscendo alla perfezione quello spazio che separa il suo corpo dal mondo, l’introverso guarda comunque all’esterno.
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Prima di proseguire: l’introversione non è timidezza. Se la timidezza è data da una stimolazione nuova, che sia una persona appena conosciuta o un ambiente mai visto prima, l’introversione è un dato di carattere persistente. La timidezza è l’iniziale, e normalissimo, sospetto diffidente che ci fa andar cauti, l’introversione è quello che ora definiremo.
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Una persona introversa, pur difficilmente distinguibile all’esterno da un timido, letteralmente prende energia dal tempo passato in solitudine. Essere in ambienti sociali richiede le sue energie: questo però, al contrario di quello che si crede, non vuol dire che le persone con questi tratti caratteriali- riconosciuti già da Jung nei tratti fondativi della personalità- non amino i contesti sociali, non abbiano amici e tengano in odio il mondo.
Semplicemente, per loro, è una sorta di spesa. Mettiamo l’esempio di un corridore: il corridore ama la corsa, altrimenti non sarebbe tale. Per far le sue corse e maratone, lo sportivo ha bisogno di una certa dose di allenamento e di riposo. Tale allenamento e riposo sarà poi usato dallo stesso nella sua amatissima corsa: il fatto che l’ami, non vuol dire però che non gli sia costata fatica e allenamento, e che ora gli prenda energie.
Per l’introverso nei contesti sociali accade la stessa cosa: ad un introverso può piacere starsene con gli altri, ma questo chiede tempo e allenamento, sia prima sia dopo.
Studi recenti hanno provato a districare il nodo del: perché? Stando alle risposte che oggi abbiamo, pare che la corteccia celebrale di queste persone sia più facile all’attivazione, più sensibile al mondo esterno: non è un caso che la maggior parte degli introversi sono gradi osservatori e ascoltatori. Colgono nel mondo quel che magari sfugge ad un altro. Questo spiegherebbe perché gli estroversi hanno bisogno di contesti sociali, perché il loro cervello chiede stimoli più intesi e più vividi. E questo spiega anche perché gli introversi si stanchino, a contatto con le persone, prima.
Giudicare quindi una persona per un dato caratteriale è come giudicarne un’altra per il colore degli occhi. Certo, possono piacerci di più gli occhi scuri a quelli chiari, ma la preferenza personale è ben lungi dal dare un giudizio. Rispondendo quindi alla provocatoria domanda dell’inizio diremmo che, semmai, è il contrario: più profondamente gli introversi sono nel mondo, umanissimi nelle loro energie.