Il pap test nel rilevamento del tumore al seno e alle ovaie, non è attendibile. Potrebbe solo individuare le donne più a rischio
Il pap test non è in grado di individuare il tumore al seno ed alle ovaie. Esso è infatti un esame citologico, che indaga le alterazioni solo delle cellule della cervice dell’utero. Tali alterazioni riguardano tumori e infezioni di tipo virale quali il citomelagovirus e papilloma virus.
Per quanto riguarda la diagnostica e la prevenzione del tumore ovarico, invece è possibile sottoporsi periodicamente ad un esame pelvico e ad un’ecografia transvaginale. Oltre all’ecografia vaginale, sono utilizzate anche la TC dell’addome e risonanza magnetica. Nel caso del tumore al seno, esiste invece la mammografia e l’ecografia mammaria, da effettuarsi almeno ogni 2 anni.
Esiste però uno studio inglese, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, secondo la quale dei ricercatori hanno scoperto che esistono delle firme rivelatrici nelle cellule del collo dell’utero, che sono legate ad altri tumori. Esiste in questo una possibile avvisaglia, che può indurre paziente e medico ad agire per approfondire la questione con ulteriori esami.
I ricercatori affermano di aver trovato alcuni marcatori di striscio dell’esame, che potrebbero dunque collaborare nell’identificazione di donne a più alto rischio di tumore al seno e alle ovaie. Le modalità con cui gli esperti sono arrivati a tale conclusione, riguardano l’analisi di campioni, provenienti da 242 donne con cancro ovarico e 860 che non ne sono affette.
Tale esame, chiamato WID test (Women’s cancer risk IDentification), si svolge analizzando dunque particolari firme molecolari nelle cellule cervicali. È quanto emerge da due studi condotti dall’Istituto per la prevenzione e lo screening dell’Università di Innsbruck, con la collaborazione dello University College London.
Questo strumento cerca nelle cellule prelevate con il pap test, le tracce della melitazione del DNA, ovvero l’accumulo di modifiche chimiche sul genoma cellulare. Differentemente da quanto accade nelle mutazioni genetiche vere e proprie, tali cambiamenti non alterano la sequenza delle cellule. Si manifestano, invece come “tappi” molecolari che si annidano al DNA e possono stoppare o avviare l’attività genetica.
Sono diversi i fattori che possono influire sulla melitazione del DNA delle cellule uterine. Alcune di essi sono l’esposizione a certe sostanze chimiche, oppure ad ormoni come il progesterone. Tali cambiamenti, individuati nel loro insieme, possono garantire una mappatura della storia del paziente e del suo rischio di contrarre tali tipi di cancro. Alla luce di ciò, queste scoperte portano in sé un grande potenziale: una volta collaudate, sarà possibile in futuro, prevedere il rischio di tumori al seno, alle ovaie, all’endometrio ed alla cervice uterina, con un unico esame.