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Gusci d’uovo: usali per la cura delle tue orchidee

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Redazione Inran

Gusci d’uovo: usali per la cura delle tue orchidee. Sono piante apparentemente semplici che però chiedono cure particolari.

da pixabay

Le orchidee sono tra le piante più diffuse nelle nostre case. Hanno un’eleganza semplice e molto minimal che si addice bene a qualsiasi tipo di arredamento e regala quel tocco green che non fa mai male. Inoltre, alle orchidee, si approcciano anche tutti coloro che di giardinaggio e piante non ci hanno mai capito troppo, nell’illusione che, dato il loro aspetto così immediato, siano altrettanto semplici da curare.

Sono le piante che spesso finiscono per essere regalate in molteplici occasioni: la visita ad un amico e varie ed eventuali. C’è da dire però che queste piantine possono richiedere ben più sforzi di quanto non sembri. Vediamo come prendercene cura: un aiuto viene dai gusci delle uova.

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Come usare i gusci d’uovo nella cura delle orchidee

da pixabay

Ovviamente, abbiamo usato il termine orchidea in linea generica. E’ scontato che il lettore saprà che ne esistono di diverse varietà, ognuna con la propria bellezza. Una di queste è la Paphiopedilum. Questa orchidea in particolare si segnala per la bellezza delle sue foglie. Produce un fiore, al massimo due, solitamente colorato, grande e anche molto durevole.

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Si potrà scegliere di reciderlo o di lasciare che fiorisca. In tal caso la vita del fiore può arrivare persino a due mesi.  Per quanto riguarda l’esposizione alla luce, queste piante non ne chiedono troppa e l’innaffiatura deve essere costante. In inverno si può pensare a ridurle, mentre in Estate è necessario, dato il caldo mantenere un ritmo più alto.

Le orchidee inoltre non amano particolarmente il sostrato acido e in questo le uova ci possono venire in aiuto. Mettiamo il caso abbiate appena finito di fare una bella frittata e vi rimangono i gusci delle uova usate. I gusci d’uovo sono ricchi di calcio e possono assorbire l’acidità: riducete i gusci  in polvere e aggiungetene sette grammi per ogni litro di substrato.

Serena Garofalo

Redazione Inran