Il cancro al seno è una delle forme più difficili da sconfiggere definitivamente. Uno studio milanese spiega che c’è un modo per farlo
Il cancro al seno, oggi, è uno dei tumori più difficili da combattere. Un male, quello del secolo come è sato definito, che colpisce le donne in una delle zone del corpo che maggiormente le contraddistingue. Le cure ci sono da tempo ma fino ad ora non si era capito come spegnere definitivamente le cellule staminali tumorali che risultano essere le più resistenti alla chemioterapia. Sono loro, infatti, le principali responsabili della ricomparsa del tumore dopo il trattamento medico.
Ma qualcosa sta per cambiare grazie ad uno studio che porta la firma tricolore, condotto da un team tutto italiano, di Milano. Lo studio è stato pubblicato, come riporta milanotoday.it, sul Journal of Cell Biology (JCB), la prestigiosa rivista internazionale.
Grazie agli studi milanesi sono stati individuati i microRNA, delle piccole cellule interne, che possono essere colpite per andare a sconfiggere il male. Vediamo cosa è necessario fare.
Lo studio milanese sul cancro al seno è stato condotto da Francesco Nicassio, coordinatore del Center for Genomic Science (CGS) dell’IIT, Istituto Italiano di Tecnologia a Milano grazie al sostegno della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.
I risultati ottenuti vanno adesso confermati da quelli clinici e se così sarà per il futuro la cura del male sarà meno difficile in quanto le chemioterapie risulteranno più efficaci. I microRNA individuati, infatti, possono essere bloccati, come emerge nello studio. Grazie a questa azione le cellule staminali tumorali risultano più fragili davanti ai farmaci e quindi di più facile neutralizzazione. Ecco perché continuando a studiare e lavorare in questa direzione anche le forme di cancro al seno più aggressive potrebbero essere risolte in modo più facile.
Le cellule staminali tumorali sono spesso il cuore dal quale si sviluppa tutto il male e, come anticipato, sono per lo più resistenti alle cure, sia radio che chemioterapie. Ecco perché riescono a sopravvivere ai primi cicli facendo manifestare ancora una volta la malattia. Ma come è stato dimostrato dallo studio milanese possono essere rese più vulnerabili e quindi più facilmente debellabili.