Lo studio, finanziato dal National Heart, Polmone e Blood Institute (NHLBI), parte del National Institutes of Health, è apparso da poco sulla rivista Cardiovascular Research. “Classicamente sappiamo che un attacco di cuore è causato da uno dei cinque fattori di rischio: diabete, ipertensione, colesterolo alto, anamnesi familiare o fumo” afferma Nehal N. Mehta, capo del “Laboratorio di Infiammazione e Malattie Cardiometaboliche” presso il NHLBI. “Eppure il nostro studio presenta prove che c’è un sesto fattore: l’infiammazione; e che è fondamentale sia per lo sviluppo che per la progressione dell’aterosclerosi all’attacco cardiaco”.
Le radici di questa scoperta affondano nelle prime terapie biologiche utilizzate nel trattamento della psoriasi, malattia che vede il sistema immunitario primariamente implicato nella sua fisiopatologia. I farmaci biologici, rappresentati da anticorpi monoclonali, citochine (interferoni e interleuchine), proteine di fusione e fattori di crescita tissutali, sono stati uno dei maggiori progressi ottenuti dalla medicina negli ultimi anni in campo terapeutico il cui successo è stato dovuto alla loro grande selettività d’azione che ha consentito di ottenere, nella maggior parte dei casi, una notevole efficacia terapeutica in tempi brevi con riduzione degli effetti collaterali rispetto alle terapie tradizionali. Quello che è emerso da notevoli studi effettuati sui pazienti con psoriasi sottoposti alle terapie biologiche è che, l’utilizzo delle terapie biologiche, tenendo a basa il sistema immunitario e limitando l’infiammazione, ridurrebbe il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari in particolare le sindromi coronariche acute alla cui base ci sarebbero le placche ateromasiche instabili.
Nello specifico tali scoperte provengono da uno studio osservazionale della coorte di NIH Psoriasis Atherosclerosis Cardiometabolic Initiative, che ha seguito 290 pazienti affetti da psoriasi, 121 dei quali hanno sofferto di malattia cutanea da moderata a severa, che si sono sottoposti alla terapia biologica approvata dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti. Per un anno, i ricercatori hanno seguito, di questi, tutti i pazienti che mostravano un basso rischio cardiovascolare e li hanno confrontati con quelli che avevano scelto di non ricevere una terapia biologica. I risultati dello studio hanno mostrato che la terapia biologica era associata ad una riduzione dell’8% delle placche coronariche. E afferma a riguardo Mehta: “I risultati che ci hanno intrigato maggiormente sono stati i componenti subcellulari della placca coronarica cambiati in un anno, tra cui il nucleo necrotico e componenti non calcificati, che sono i responsabili della maggior parte degli attacchi di cuore”.
Sembrerebbe insomma evidente che ridurre lo stato infiammatorio cronico dei pazienti, qualunque malattia di base essi abbiano, ridurrebbe tante complicazioni e specie quelle incontro alle quali possono andare le placche ateromasiche responsabili, in primis, delle malattie cardiovascolari.
Fonti e bibliografia