Inizialmente dunque si ipotizzò di approcciare alla MP eseguendo delle exeresi di regioni motorie e premotorie; procedura che, risolta la sintomatologia tremorigena parkinsoniana, portava a gravi conseguenze per il paziente tra cui livelli variabili di emiparesi, disprassia e un’alterazione nell’esecuzione dei movimenti rapidi.Successivamente si cercò di interrompere il fascio nervoso cortico-spinale, anch’esso coinvolto nel controllo dei movimenti ma, ancora una volta, queste procedure furono associate a gravi complicanze.
Solo dopo gli anni ’40 si eseguì la chirurgia dei gangli della base per trattare i disordini del movimento: nel corso degli anni si passò da una chirurgia ablativa diretta degli stessi gangli nervosi ad un approccio basato sul clipping della arteria corioidea anteriore che inducesse un’area infartuale nella medesima regione dei nuclei della base, sino al 1947 dove si ebbe l’introduzione del casco stereotassico e della stimolazione elettrica diretta di specifici target nervosi i quali hanno rivoluzionato, una volta e per sempre, la storia di questa malattia.
La Deep Brain Stimulation è una tecnica, infatti, che prevede l’invio di impulsi elettrici in specifiche strutture encefaliche per mezzo di minuscoli elettrodi impiantabili chirurgicamente e connessi ad un generatore di impulsi collocato in una tasca sottocutanea in zona sottoclaveare (simil pacemaker). È stata sviluppata dalla Scuola Neurochirurgica Francese agli inizi degli anni novanta, ed effettuata per la prima volta a Grenoble nel 1992. Affinata dalla Scuola di Stoccolma, è attualmente molto diffusa, in particolar modo negli Stati Uniti d’America, dove è già stata praticata su migliaia di pazienti con completa risoluzione delle discinesie levodopa-indotte e, nell’80% dei casi, con una notevole riduzione della bradicinesia e della rigidità. Alla Clinica Neurochirurgia dell’Università di Messina spetta il primato di essere stato il primo centro in Italia ad eseguire questo tipo d’intervento nel 1996, avvalendosi della tuttora attiva collaborazione con la Southwestern Medical School dell’Università del Texas (Dallas).
I rilevanti benefici ottenuti attraverso le tecniche di stimolazione cerebrale profonda del globo pallido interno (GPi) prima, e del nucleo subtalamico (NST) più recentemente, hanno incoraggiato l’uso di questa modalità di trattamento per pazienti affetti da MP che non rispondono più in modo soddisfacente alla terapia medica.
Uno dei fattori più importanti nell’assicurare risultati soddisfacenti dopo la DBS è l’appropriata selezione dei pazienti, basata sulle linee guida della LIMPE (Lega Italiana per la lotta contro la Malattia di Parkinson, le sindromi Extrapiramidali e le demenze), sulle indicazioni del Gruppo di studio di Neurochirurgia funzionale e stereotassica della SINch (Società Italiana di Neurochirurgia) e sui suggerimenti del CAPSIT- PD (Core Assessment Program for Surgical Intervention and Transplantation in Parkinson’s disease).
I criteri generali d’inclusione validi per gli interventi di stimolazione talamica, subtalamica e pallidale sono:
La DBS del NST è efficace esclusivamente sui disturbi motori presenti nelle fasi off e il massimo beneficio ottenibile è equivalente a quello prodotto da una dose massimale di L-dopa. È pertanto fondamentale, nell’iter di selezione dei pazienti, quantificare prima dell’intervento il miglioramento ottenibile con una dose massimale di L-dopa con il test di responsività alla L-dopa o challenge test che viene eseguito al mattino dopo 12 ore di sospensione della terapia antiparkinsoniana. La scomparsa, durante il test, del freezing della marcia, del tremore e dell’instabilità posturale rappresenta un buon parametro predittivo della qualità dell’on post-operatorio. Al contrario, la persistenza del freezing e dell’instabilità posturale rappresentano un criterio di esclusione poiché l’intervento, pur migliorando lo score motorio, non incrementerebbe in modo significativo la qualità della vita del paziente.
La DBS del NST determina una diminuzione di tutti i sintomi motori della fase avanzata della MP: rigidità, bradicinesia, stabilità posturale e andatura; inoltre è efficace nella riduzione del tempo off e delle fluttuazioni on/off con un miglioramento medio dell’UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale che valuta la performance motoria del paziente con MP) del 60%. Il miglioramento della performance motoria e delle discinesie, la notevole riduzione della terapia e dei suoi effetti collaterali si accompagnano allora ad un miglioramento significativo e duraturo della qualità della vita dei pazienti.
In conclusione siccome la malattia di Parkinson e i disturbi del movimento sono, nella nostra società, in costante aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione ma soprattutto sono in crescita i casi giovanili (1 paziente su 4, infatti, ha meno di 50 anni e 1 su 10 meno di 40) i quali si presentano con un decorso più veloce e un’aggressività maggiore rispetto a come avviene nel paziente anziano, si sta facendo sempre più strada la possibilità di sottoporsi all’intervento di DBS in fase precoce che mostrerebbe, per giunta, maggiori risultati che in fase avanzata di malattia.