Le calcificazioni al seno sono piccoli depositi di calcio che si sviluppano nel tessuto mammario. Sono molto comuni e di solito sono benigni (ovvero, non cancerosi). Solo in alcuni casi, diversi tipi di calcificazioni del seno possono suggerire un carcinoma mammario precoce.
Esistono due tipi principali di calcificazioni al seno: le macrocalcificazioni e le microcalcificazioni.
Le macrocalcificazioni appaiono come grandi punti bianchi su una mammografia (radiografia del seno) e sono spesso sparsi casualmente all’interno del tessuto mammario. Sono piuttosto comuni: si riscontrano infatti in circa la metà delle donne di età superiore ai 50 anni, e in una donna su 10 di età inferiore ai 50 anni. Vengono generalmente considerate non cancerose.
Le microcalcificazioni sono invece piccoli depositi di calcio che appaiono come più piccoli puntini bianchi su una mammografia. Di norma non cancerosi, se appaiono in determinati schemi e sono raggruppati insieme, possono essere un segno di cellule precancerose o di cancro al seno in fase iniziale.
Le calcificazioni al seno non causano sintomi, e sono troppo piccole per poter essere sentite durante un esame mammario di routine. Di solito, vengono notate per la prima volta su una mammografia.
Se si hanno macrocalcificazioni, non sono di solito necessari ulteriori test o trattamenti, considerato che è noto il loro carattere non dannoso. Se si osservano microcalcificazioni sulla mammografia, è possibile che il medico richieda di eseguire un’altra mammografia per ottenere un aspetto più dettagliato dell’area interessata. Le calcificazioni saranno determinate come “benigne”, “probabilmente benigne” o “sospette”.
Un certo numero di fattori è ritenuto causa di produrre calcificazioni nel seno di una donna, incluso il normale invecchiamento, condizioni di infiammazione e traumi passati nella stessa area di riferimento. Contrariamente a quanto qualcuno pensa, il calcio assunto mediante la propria dieta non causa calcificazioni.
Le calcificazioni “benigne” sono considerate innocue e, pertanto, non sono necessarie ulteriori valutazioni o trattamenti.
Le calcificazioni “probabilmente benigne” hanno meno del 2% di determinare un rischio di cancro. In altre parole, più del 98% delle volte le calcificazioni “probabilmente benigne” non sono cancerose. In genere, tutto ciò che è sufficiente fare è procedere con un monitoraggio ogni sei mesi per almeno un anno. Dopo un anno di follow-up e non assumendo nuovi cambiamenti, il medico consiglierà di sottoporsi a una mammografia di routine una volta all’anno.
Le calcificazioni “sospette” possono essere benigne o un segno precoce di cancro; pertanto, il medico potrebbe consigliare l’effettuazione di una biopsia. Durante la biopsia, una piccola quantità di tessuto mammario contenente la calcificazione viene rimossa e inviata a un laboratorio per essere esaminata. Se il cancro è diagnosticato, il trattamento può consistere in un intervento chirurgico per rimuovere il seno cancerogeno, la radioterapia e / o la chemioterapia per uccidere tutte le cellule tumorali rimanenti.
Due tipi di biopsie vengono generalmente utilizzati per rimuovere il tessuto di calcificazione al seno per procedere a ulteriori studi, tra cui la biopsia dell’ago con nucleo stereotassico e la biopsia chirurgica.
La biopsia con ago viene effettuata in anestesia locale (l’area è intorpidita, ma si è svegli): un radiologo, utilizzando un ago sottile guidato da computer imaging, rimuoverà un piccolo pezzo di tessuto contenente calcificazioni sospette. Se il tessuto non può essere rimosso con successo utilizzando una biopsia dell’ago o se i risultati non sono chiari, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico per ottenere un campione del tessuto mammario calcificato.
Un chirurgo eseguirà la biopsia in una sala operatoria in anestesia locale o generale. Prima della procedura chirurgica, un radiologo può utilizzare i raggi X per identificare il tessuto mammario calcificato e quindi contrassegnare il tessuto da rimuovere – con un filo sottile o con una tintura. Un chirurgo taglierà quindi il campione di tessuto in modo che possa essere inviato ad un laboratorio per l’analisi.