La legionellosi è un termine comunemente riconducibile a due differenti sindromi causate dal batterio legionella, quale la c.d. “febbre di Pontiac” e la c.d. “malattia dei legionari”. Ad ogni modo, quando si parla di legionellosi (o comunemente di legionella, come nel nostro focus odierno) ci si riferisce principalmente alla seconda patologia, la c.d. “malattia dei legionari” , rappresentata da una sorta di polmonite di origine batterica.
Il nome scientifico della legionella è Legionella Brenner, attribuito nel 1979, dopo un caso di contagio del 1976 a carico di alcuni veterani americani della American legion. Da qui deriva il nome legionella, preso a spunto da quell’episodio che vide l’epidemia scatenarsi in un hotel di Philadelphia, dove i veterani si erano riuniti, decimandoli. Furono infatti, su 4000 veterani presenti, ben 221 gli ammalati e 34 i deceduti. Prima di quest’episodio, il batterio a causa della legionella non era conosciuto, e in quel frangente venne isolato e trovato nell’aria condizionata dell’albergo.
La legionellosi è determinata dalla presenza di un batterio, la legionella (legionella pneumophila), di norma presente in acqua (nei laghi, nei fiumi, e così via). Purtroppo, la sua resistenza è piuttosto elevata nell’ambiente, tanto che alcuni microrganismi possono mantenere la loro vitalità anche dopo anni di conservazione nell’acqua.
Ad ogni modo, il fatto che in natura la legionella sia così diffusa e resistente, non deve lasciare intendere che tale presenza sia sufficiente per determinare un contagio nell’uomo. Affinchè si generi una simile situazione è infatti necessario che vi siano concentrazioni molto elevate, che di norma vengono determinate nel momento in cui il batterio riesce a colonizzare serbatoi artificiali di acqua: è in queste ipotesi che la malattia si rende più facilmente trasmissibile nell’uomo. Ed ecco anche spiegato il motivo per cui i casi rilevati sono frequentemente riconducibili alle piccole comunità che sono servite da un unico serbatoio, come avviene negli ospedali o nelle navi da crociera.
A quanto sopra si aggiunga anche il fatto che esistono diversi fattori di rischio che potrebbero favorire la trasmissione del batterio, come avviene nel caso di fumo di sigaretta, alcolismo, malattie respiratorie croniche, età avanzata, ospedalizzazione, immunosoppressione.
Una volta infettato un corpo umano, il batterio della legionella passa circa 5 o 6 giorni, mediamente, di incubazione, e aumenta notevolmente la sua pericolosità. La legionella può infatti provocare una polmonite specifica, indistinguibile da altri tipi di polmonite, e la sua individuazione avviene grazie a come essa va ad attaccare gli altri organi, coinvolgendoli nell’infezione. La polmonite da legionella può essere altamente letale.
Essenzialmente, il contagio del batterio nell’uomo può avvenire in due distinti modi: con la respirazione dei batteri, o con l’instillazione diretta nei polmoni (conseguenza, quest’ultima, di manovre chirurgiche). Come intuibile, la maggior parte delle persone che contraggono la legionellosi la contrae inalando delle goccioline di acqua contenenti batteri della legionella, come potrebbe avvenire durante una doccia, durante un bagno idromassaggio, o anche mediante l’acqua dispersa dal sistema di ventilazione di un grande edificio.
Da quanto sopra ne deriva che, purtroppo, l’elenco di focolai di legionella è davvero estesissimo: dalle vasche idromassaggio alle piscine, dagli apparecchi aerosol agli umidificatori, dalle fontane alle torri di raffreddamento, è lunga la serie di possibili fonti della malattia.
Per quanto concerne i sintomi della legionellosi, la malattia dei legionari è riconducibile alla classe delle c.d. polmoniti atipiche, che hanno in comune una tosse non produttiva. I sintomi sono molto variabili per intensità e per gravità, tanto da rendere potenzialmente difficile l’individuazione della malattia nelle sue prime fasi (la febbre inizialmente non è molto elevata).
Più nel dettaglio, i sintomi meno specifici (come il malessere, la stanchezza, il calo dell’appetito, il mal di testa) si presentano fin dai primi giorni della malattia, accompagnati da tosse modesta e non produttiva (è raro il catarro). Un altro sintomo abbastanza diffuso è l’incremento del ritmo del respiro (fino a un paziente su due soffre di respiro affannato). Sono inoltre piuttosto frequenti i sintomi di carattere gastrointestinale, come i dolori all’addome, la nausea, il vomito, la diarrea. A volte, il quadro è accompagnato e integrato da stato di confusione, mal di testa, sonnolenza. La febbre è sempre presente, inizialmente bassa, per poi salire fino a 40 gradi.
Simili sono anche i sintomi della forma delle legionella determinata dalla febbre di Pontiac, con la differenza – non certo irrilevante – che in questo caso non si sviluppa polmonite, ma una serie di sintomi simili a quelli di una comune influenza, come una sensazione di malessere generale, stanchezza, dolori muscolari diffusi, febbre, mal di testa; nausea, tosse, dolori addominali e diarrea sono meno frequenti.
Per diagnosticare la legionella, bisogna innanzitutto isolare il batterio dal corpo umano, prelevando dei campioni dai polmoni in broncoscopia, oppure da del materiale espettorato. Il campione prelevato deve essere analizzato sotto l’immunofluorescenza dopo essere stato tenuto in coltura. Questa analisi può essere utilizzata sia nel periodo acuto della malattia, sia durante la convalescenza. Anche le urine vengono utilizzate per validare la diagnosi, attraverso un esame antigenico, in cui l’antigene viene evidenziato a soli tre giorni dal decorso della malattia. Questo test è molto valido perché non è influenzato dalla somministrazione degli antibiotici, che quindi non falsano i risultati, in quanto l’antigene rimane evidente per settimane.
Infine si effettua anche una diagnosi differenziale per comparare la polmonite da legionella con le altre polmoniti che possono presentarsi, sia atipiche che indotte, oppure virali.
Cominciamo con il rammentare che per poter fronteggiare adeguatamente la legionellosi, è fondamentale rivolgersi quanto prima a un medico, soprattutto se si ritiene di essere venuti a contatto con dell’acqua contaminata dal batterio. Come abbiamo già ricordato, nelle sue primissime fasi la legionellosi potrebbe non essere facilmente riconducibile a tale malattia, con la conseguenza che il paziente potrebbe essere ricondotto a “trascurare” i sintomi, confondendoli con altre patologie più lievi, fino a quando questi non diventano sufficientemente gravi.
Sottovalutare la legionellosi può condurre a conseguenze anche molto ingenti. In alcuni casi possono infatti sorgere delle complicazioni extra polmonari, a causa della diffusione del batterio dai polmoni. Da qui il batterio può diffondersi al cuore (con conseguenti miocarditi, pericarditi, ecc.), linfonodi, milza, fegato, reni.
Tornando alla cura, ribadiamo come in caso di sospetto sia fondamentale ricorrere immediatamente alla consulenza di un buon medico che, per dissipare ogni dubbio e/o arrivare a una diagnosi puntuale, sottoporrà il paziente a una serie di test specifici, in grado di confermare univocamente se ci si trova dinanzi a una condizione di legionellosi (o meno).
Nel caso di diagnosi positiva, e di accertata legionellosi, si potrà ipotizzare una specifica cura che verrà ponderata sulla base delle caratteristiche del paziente. Probabilmente, il medico ipotizzerà una terapia immediata a base di macrolidi e chinoloni, antibiotici di prima scelta per il trattamento delle infezioni da legionella, rappresentando di fatto una cura istintiva essenziale, considerato l’alto numero di casi fatali. La mortalità dipende comunque dallo stato di salute iniziale del paziente, e può giungere fino all’80% nei soggetti immunocompromessi non trattati fin dalle prime fasi. Nelle ipotesi di trattamento, invece, nei pazienti sani la mortalità scende drasticamente, sotto il 5%. Senza terapia antibiotica sale invece tra il 20% e il 30%.
Nei casi di terapie per via endovenosa, i primi risultati si hanno dopo appena 3 o 5 giorni, e successivamente, ai primi riscontri positivi, la somministrazione dei medicinali per via endovenosa può essere sospesa in favore di quella per via orale, che va continuata per due settimane.
Sicuramente più lievi sono gli effetti potenzialmente negativi della malattia di Pontiac, la cui guarigione è spontanea e non richiede il ricorso a antibiotici.
Per poter prevenire la legionellosi, il principale approccio è certamente rappresentato dalla verifica periodica dei campioni nelle riserve di acqua.
Questo approccio è fondamentale, e per questo, in Italia, la lotta alla legionella ha uno specifico paragrafo nel Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro. Il Rischio Legionella fa parte della lista degli Agenti Biologici I, con linee guida per il rispetto delle norme di sicurezza sia negli impianti idrici, che i quelli dell’area climatizzata, ma anche in quelli sanitari e di lavoro. La progettazione di questi impianti, è normata dalla UNI 9182.
Negli impianti idraulici l’attenzione per la prevenzione della legionella è massima, e viene regolata da ferree norme che raccomandano molti accorgimenti di progettazione e prevenzione. Nella progettazione, in particolare, il testo raccomanda di evitare al più possibile di costruire terminali ciechi nelle tubazioni, in modo che non si formino ristagni d’acqua dove il batterio possa moltiplicarsi. Anche tubazioni troppo lunghe possono favorire il proliferarsi del batterio, così come il contatto tra l’acqua e l’aria, dovuti a serbatoi aperti e non chiusi ermeticamente.
Nella tipologia dei materiali che vengono utilizzati, vanno preferiti quelli che non favoriscono la proliferazione, come ad esempio il rame, e nella progettazione della pianta degli impianti, vanno evitate le torri evaporative, utilizzando metodologie che blocchino la proliferazione. Inoltre la manutenzione degli impianti risulta decisiva, per bloccare le proliferazioni dei batteri. Per questo, vanno eliminate eventuali incrostazioni e i biofilm di superficie. Se poi la proliferazione è già partita, si può intervenire per limitare i danni.
Nel caso in cui vi sia il sospetto di legionella nell’acqua ma non si riesca a produrre una depurazione dell’acqua, è stato dimostrato in più occasioni che un riscaldamento dell’acqua tale che a livello dello sbocco di uscita la temperatura sia di 70.80 gradi per almeno 30 minuti.
Questo trattamento viene chiamato shock termico.
Si può anche scaldare l’acqua sopra i 60°C per il trattamento termico, mantenendola a temperature elevate. Un altro sistema è l’iperclorazione, ovvero l’addizione di cloro nell’acqua, come ipoclorito di calcio o di sodio, per disinfettare l’acqua nell’ordine di 3 mg/l, oppure fino a 50 mg/l per circa 60 minuti in modo da ottenere l’iperclorazione shock. Il biossido di cloro è un altro disinfettante efficacie, che consente l’eliminazione del biofilm e una disinfezione costante nel tempo, perché non lascia sottoprodotti.
Tra i prodotti utilizzabili, anche la monoclorammina, che si presenta come stabile e più efficace contro il biofilm. Anche i raggi ultravioletti possono uccidere il batterio, così come la ionizzazione rame-argento, i colloidi dello stesso tipo e il perossido di idrogeno e argento. L’ozono è un ottimo ossidante capace di distruggere numerosi batteri e funghi, mentre questi sistemi possono essere aiutati dai filtri posti sui terminali, che fungono da ultima barriera contro i batteri.
A livello personale, si può invece cercare di ridurre il rischio di legionellosi abbassando i fattori di rischio. Ad esempio, potrebbe essere utile evitare di fumare, considerato che il fumo aumenta l’esposizione ai danni del batterio.
Per maggiori informazioni vi ricordiamo della necessità di condividere ogni elemento informativo con il vostro medico di riferimento.