Il tampone rettale è un esame diagnostico il cui scopo è il prelievo di materiale fecale non contaminato, che in seguito sarà analizzato in laboratorio per la ricerca e l’isolamento di microorganismi responsabili di varie malattie intestinali. Le comuni sono il batterio del colera, la salmonella, la shigella, campylobacter . Durante la gravidanza, il tampone rettale è indicato per la ricerca dello streptococco del gruppo B (streptococcus agalactiae).
Il tampone rettale viene svolto sia in sede ospedaliera che in ambulatori privati. Normalmente la preparazione consiste nell’evitare pratiche che possano in qualsiasi modo falsarne i risultati, come i clisteri o il lavaggio interno, conducendo anche quello esterno con attenzione. Non ci sono invece limitazioni per quanto concerne minzioni o alimentazione.
Per quanto concerne l’esecuzione stessa, il tampone rettale è un esame piuttosto semplice, che si avvale di un bastoncino sterile, molto simile ad un cotton fioc, inumidito con terreno di trasporto. Questo bastoncino viene inserito nel retto attraverso l’ano, ad una profondità di circa 2 – 4 centimetri e viene quindi strofinato per fare si che il materiale fecale aderisca adeguatamente alla parte cotonata.
Il bastoncino andrebbe mantenuto all’interno dell’ampolla rettale per almeno 30 secondi, continuando a ruotarlo con delicatezza contro le pareti del retto. Una volta estratto, il bastoncino viene immerso nella provetta con il terreno di trasporto, dopo che ci si sia accertati della presenza di tracce significative di materia fecale sul di esso.
Una delle più comuni preoccupazioni associate al tampone rettale è la possibilità di avvertire fastidio o addirittura dolore durante l’esecuzione dell’esame. In realtà, il fastidio è minimo. Nella maggior parte dei casi, grazie alla finezza dei materiali di cui è composto il tampone, l’esame risulta privo di qualsiasi sensazione dolorosa, così che la maggioranza dei pazienti non si accorgono nemmeno della sua immissione nell’ano.
Tuttavia, rispetto al tampone vaginale o uretrale, il tampone rettale risulta essere praticamente privo di fastidi, tanto per gli uomini quanto per le donne.
Il tampone rettale viene normalmente eseguito due volte durante una gravidanza:
L’esame viene effettuato nel corso di una normale visita ginecologica ed i campioni vengono prelevati contestualmente. Alcuni ostetrici possono richiedere che anche il compagno chiamato ad assistere al parto si sottoponga allo stesso test.
Lo Streptococco B è un microorganismo estremamente diffuso, comunemente presente nell’ambiente vaginale e solitamente innocuo. Tuttavia, in gravidanza la situazione cambia drasticamente e la presenza nel canale dello Streptococco beta emolitico di gruppo B al momento del parto può causare nel nascituro infezioni, con conseguenze talora piuttosto gravi.
Il tampone rettale assiste nell’escludere questo rischio e nell’individuare potenziali sorgenti di Streptococco beta emolitico di gruppo B, consentendo di trattarle con terapie antibiotiche adeguate e sicure per il nascituro.
L’incidenza dello streptococco B nella popolazione femminile non è nota ma si sa che è molto comune. In condizioni comuni, è presente come commensale (ovvero ospite della flora batterica) della mucosa del basso tratto genitale ed intestinale e la sua presenza in queste condizioni è completamente asintomatica. Nell’adulto, infatti, lo Streptococco beta emolitico di gruppo B non si comporta da agente patogeno e non si fanno esami per la sua ricerca, né si prescrivono antibiotici per eliminarlo: sarebbero inutili data la totale innocuità del batterio ed inefficaci data la sua ubiquità (anche dopo una terapia riuscita, torna a colonizzare le mucose nel giro di alcuni mesi).
In gravidanza, tuttavia, la situazione cambia radicalmente, poiché sussiste il rischio che lo Streptococco beta emolitico di gruppo B infetti il nascituro, sebbene sia un rischio limitato a delle circostanze specifiche, ovvero la rottura precoce delle membrane. Il batterio, infatti, non è in grado di attraversare la barriera della placenta ma se questa venisse a mancare può risalire e contaminare il nascituro.
Il picco del rischio si ha, comunque, al momento del parto, quando il bambino entra a diretto contatto con la parete vaginale e, in presenza del batterio, la probabilità di contagio è del 70% circa. Tra i contagiati, dall’1 al 2% manifesterà sintomi di rilievo clinico e per tutti gli altri l’infezione è asintomatica. I più vulnerabili sono i nati prematuri. L’infezione può manifestarsi precocemente, entro 20 ore dalla nascita, oppure in un momento più avanzato, dal settimo giorno fino addirittura al terzo mese di vita. In circa un terzo dei casi si presenta come una broncopolmonite, in un secondo terzo come una meningite e nei restanti casi come una sepsi non ben localizzata, trasportata dal sangue.