La Colinesterasi abbondante presente nel neoplasma è conosciuta con il nome di pseudocolinesterasi, ovvero una proteina presente in diverse isoforme e che si concentra anche nel nostro fegato che la produce ed anche nelle cellule gliali del sistema nervoso. Nei globuli rossi ovvero a livello eritrocitario, nei muscoli anche nella strutture nervose e nella placenta, prevale l’acetilcolinesterasi che prende il nome di colinesterasi vera oppure acetilcolina idrolasi.
I suddetti enzimi mostrano una differenza nella presenza di substrato, a differenza dell’acetilcolinesterasi che è in grado di degradare l’acetilcolina in maniera rapida, mentre la pseudocolinesterasi idrolizza una gamma più vasta di esteri della colina, esibendo in questa maniera una capacità elevata degradativa verso la butir-colina. L’acetilcolinesterasi non è in grado di idrolizzare la succinilcolina, ovvero un miorilassante che viene somministrato dagli anestesisti per ottenere in maniera tale una rapida paralisi e facilitare tutte le manovre che occorrono per l’intubazione tracheale nel paziente da operare, la pseudocolinesterasi viene inattivata nell’arco di pochissimi secondi. I pazienti che mostrano bassi livelli oppure ridotta attività della colinesterasi, possono essere soggetti ad apnea prolungata dopo la somministrazione di succinilcolina durante un intervento chirurgico.
La sensibilità a tale sostanza dipende dal fenotipo che mostra il paziente e dallo screening pre-operatorio, che ha proprio lo scopo di mettere in evidenza tutti i pazienti nei quali tale somministrazione potrebbe causare problematiche, come nel caso di pazienti omozigoti per una variante alleica presente nel gene della pseuodocolinesterasi, i quali essendo incapaci di inattivare la succinilcolina, una volta somministrata tale sostanza, potrebbero andare in contro alla paralisi persistenza con apnea.
Per comprendere chi sono questi soggetti a rischio, viene misurata l’attività della colinesterasi sierica, oppure viene valutato l’effetto della dibucaina che ha sull’attività pseudocolinesterasica. Nei pazienti sani tale attività viene inibita dalla dibucaina, mentre nei soggetti con variante alleica risulta essere normale. La colinesterasi risulta essere elevata nelle donne in gravidanza ed anche in soggetti affetti dalla sindrome nefrosica, oppure in presenza di malattie cardiache congenite, nel morbo di Basedoe, in soggetti che fanno abuso di alcol, in pazienti che soffrono di obesità pronunciata ed in presenza di iperlipoproteinemia di tipo IV e nella malattia di Gilbert.
Purtroppo bisogna tenere presente che esistono diverse forme di pseudocolinesterasi, e che possono manifestarsi normali o più o meno atipiche. Gli individui omozigoti come abbiamo accennato sopra, per il loro gene atipico, presentano livelli molto bassi di colinesterasi non inibita dalla dibucaina. La misurazione di tale attività della colinestearsi sierica, è utilizzabile anche come indice che mostra la capacità sintetica da parte del fegato. I livelli di pseudocolinesterasi tendono infatti a diminuire quando ci troviamo di fronte ad un paziente con capacità di sintesi epatica delle proteine compromessa, in maniera proporzionale rispetto al danno apatico.
In casi di epatite acuta, la diminuzione sarà del 30 o del 50%, mentre in pazienti affetti da cirrosi epatica avanzata oppure da carcinoma con metastasi diffuse al fegato, la diminuzione sarà del 50 o 70%. In presenza di intossicazione da composti organofosforici utilizzati nei pesticidi ed in stati di grave mal nutrizione, i livelli della colinesterasi plasmatica possono tendere a scendere anche al di sotto della norma. Tali valori si possono presentare inferiori anche in pazienti che somministrano estrogeni oppure contraccettivi orali.
Attraverso studi medici stato possibile riscontrare una deficienza congenita di colinesterasi che comporta nel paziente una elevata sensibilità verso medicamenti distrutti nei tessuti da tali proteine. Grazie a moderne tecniche istochimiche è stato possibile inoltre definir con molta chiarezza i rapporti che vi sono tra le attività nervose e la distribuzione intraorganica delle colinesterasi. Tutto questo è stato possibile anche grazie al contributo della ricerca condotta mediante metodi microgasometrici che a loro volta hanno consentito di studiare l’attività delle colinesterasi nelle singole fibre o in parte di esse. L’enzima entra in rapporto con il substrato in due metodi differenti: nel primo mediante il sito aionico ovvero attraverso l’azoto che porta a sua volta una forte carica positiva, nel secondo mediante il sito esterasico ovvero attraverso il carbonile del radiale acetico che si fissa a sua volta all’enzima con legame covalente.