L’osteogenesi imperfetta viene anche indicata con il proprio acronimo OI e si caratterizza per la mutazione di una coppia di geni, la cui identificazione è la seguente: COL 1A1 e COL 1A2. Questi due geni contengono l’istruzione per la sintesi della proteina nota come collagene1, quella presente in quantità più abbondanti nell’organismo dell’uomo (all’incirca il trenta percento di tutte le proteine presenti e pari al sei percento circa del peso corporeo totale).
Il collagene, oltre ad altre attività, è anche necessario per lo sviluppo e per la buona salute delle cartilagini, delle ossa e dei tendini (anche di pelle e denti, per la verità). I genetisti tendono a considerare l’osteogenesi imperfetta una malattia con gradi variabili di espressività, in quanto può manifestarsi con gradi di gravità, caratteristiche e forme diverse, causate dalla eterogeneità di mutazione patologica e dalla grande quantità sia dei tessuti che si coinvolgono che del numero di funzioni.
L’osteogenesi imperfetta può colpire indistintamente femmine e maschi, con un rapporto di uno a uno, e con una incidenza di un malato ogni venti/venticinquemila individui. La natura della malattia è per lo più congenita, ma non si possono escludere mutazioni genetiche spontanee tali da generare la patologia anche in soggetti i cui genitori siano entrambi sani (succede in circa un quarto dei casi totali).
L’osteogenesi imperfetta genera una forte fragilità delle ossa, per cui gli individui affetti da tale patologia sono spesso oggetto di fratture spontanee o, in ogni caso, anche dovute a traumi di minima gravità. Fratture a parte le ossa dei soggetti affetti possono anche essere soggette a deformazioni.
A tutt’oggi sono note 7 varianti di questa malattia, classificate secondo la gravità e quindi a seconda del livello di compromissione dei vari organi ed apparati. Di queste 7 varianti, solo le prime 4 sono quelle note storicamente, le ultime 3, invece, sono ad oggi al vaglio delle ricerche condotte da specialisti genetisti. Ciò nonostante, dal momento che la sintomatologia e la relativa gravità sono molto variabili da un soggetto all’altro, sovente classificare un caso in una delle suddette varianti può apparire limitativo.
Uno dei dati più importanti, e cioè l’aspettativa di vita, è in stretta dipendenza del livello di gravità e da qualche eventuale complicazione respiratoria che può associarsi alle deformazioni della colonna vertebrale.
Ecco, di seguito, una breve descrizione delle sette varianti:
Esistono poi delle manifestazioni che sono comuni a tutte le sette varianti, anche se non sono necessariamente presenti, e si tratta di:
La diagnosi di osteogenesi imperfetta può avvenire grazie a raccolte anamnestiche di notizie sul passato clinico e familiare del soggetto, seguite da esami radiografici ed anche esami di tipo biochimico e genetico per la ricerca di qualche eventuale mutazione a carico dei geni COL 1A1 e COL 1A2. Se si sospettasse la presenza della malattia tali indagini potrebbero essere effettuate anche in età prenatale per il tramite di ultrasonografie ossee e confermate anche da un’analisi dei villi coriali.
Non esistono cure risolutive per l’osteogenesi imperfetta, è però possibile un miglioramento della qualità della vita del paziente con dei trattamenti multidisciplinari che prevedano, tra le altre cose, la prevenzione della carenza della vitamina D e del calcio, ricorrere a metodologie di tipo ortopedico e chirurgico per la riduzione delle fratture e la correzione delle deformità, adeguate terapie del dolore che siano di conforto nei casi di maggiore gravità.
Interventi fisioterapici precoci ed adeguate attività fisiche miglioreranno il livello di autonomia dei pazienti e ridurranno il rischio della caduta. Anche l’assunzione di pamidronato, anche sin dai primi giorni di vita, un medicinale con azione inibitoria del rilascio dalle ossa del calcio, sarà senz’altro utile.
La prognosi è in stretta dipendenza della variante di questa patologia. Nelle forme congenite gravi si ha quasi sempre la morte intrauterina, ma, se la gravidanza arrivasse a termine, in ogni caso il neonato avrebbe brevissime aspettative di vita. Ciò nonostante in taluni casi, anche se molto rari, non è impossibile che il paziente raggiunga l’età pubere, anche se, probabilmente, su sedie a rotelle o, addirittura allettati. Nei tipi lievi o moderati si può assistere a progressivi miglioramenti delle condizioni di salute in quanto l’incidenza delle fratture tende alla diminuzione superata l’età pubere, per merito dell’azione degli ormoni di tipo sessuale i quali assumono un ruolo fondamentale nella formazione delle ossa. Con la crescita, oltretutto, i soggetti imparano ad evitare le cadute.