L’alfafetoproteina è una particolare sostanza glicoproteica con funzioni simili a quelle già note per l’albumina, e che viene sintetizzata principalmente nella vita fetale dal sacco vitellino e dal fegato. Dopo la nascita, i livelli di questa sostanza tendono a decrescere in misura rilevante, fino a raggiungere valori simili a quelli riscontrabili nel soggetto adulto, già nell’arco dei 12-24 mesi di età.
Tralasciando il periodo gestazionale, il dosaggio ematico dell’alfafetoproteina viene effettuato per poter valutare l’evoluzione di alcune patologie tumorali. Dunque, il test dell’alfafetoproteina non è un test utile a perseguire finalità di tipo diagnostico, bensì riveste un’utilità evidente quale esame complementare per poter indicare l’evoluzione dei processi tumorali nel tempo, anche in relazione alle terapie che vengono intraprese. Più nel dettaglio, l’alfafetoproteina è uno dei segni più importanti quale marcatore dell’epatocarcinoma, il tumore al fegato, sebbene da sola non possa certamente fornire una diagnosi o indicazioni specifiche.
Di norma un adulto sano presenta una concentrazione sierica di alfafetoproteina inferiore a 10 ng/ml. I valori possono comunque variare anche in misura significativa, così come molto diversi possono essere i parametri di riferimento di ordinarietà da parte dei singoli laboratori di analisi. Ad ogni modo, è abbastanza palese che valori molto elevati di alfafetoproteina, superiori a 500 ng/ml, possono costituire una spia piuttosto probabile di epatocarcinoma, poichè valori così elevati non sono quasi mai riscontrabili in altre patologie.
Oltre che quale test per marcare il tumore al fegato, il monitoraggio dell’alfafetoproteina può essere utile anche come test di screening per una diagnosi precoce nella popolazione ad alto rischio di tumore al fegato, nonostante i vaori tendano ad essere già di per sè piuttosto elevati nei pazienti portatori di malattie epatiche croniche. Nel periodo post operatorio, o dopo altri interventi terapeutici, infine, il dosaggio dell’alfafetoproteina diviene utile per poter riconoscere eventuali recidive.
Le cause dell’alfafetoproteina alta sono piuttosto riconducibili agli stati patologici, principalmente del fegato. Ma non solo: possono infatti costituire determinanti di valori molto elevati di alfafetoproteina, oltre al carcinoma primario del fegato, anche il carcinoma del colon-retto, il carcinoma dello stomaco, il carcinoma del pancreas o dei polmoni, alcuni tipi di carcinoma del testicolo e dell’ovaio (teratocarcinoma), la cirrosi epatica, l’epatite virale acuta e cronica, l’epatite da alcol.
Ulteriormente, elevati livelli di alfafetoproteina possono essere registrati anche durante la gravidanza, con incremento soprattutto se il feto presenta difetti di chiusura del tubo neurale.
Di contro, alcune delle più ricorrenti cause di valori bassi di alfafetoproteina possono essere ricondotte a un’età gestazionale inferiore a quella presunta (tipico è il caso in cui non si conosca con certezza la data del concepimento), n aborto non ancora identificato. Nelle donne in gestazione che sono portatrici di feti con sindrome di Down, i tassi sierici di alfafetoproteina e di estriolo non coniugato tendono generalmente a diminuire, mentre incrementano, contemporaneamente, quelli di gonadotropina corionica umana e inibina A.
Durante la vita intrauterina, l’afafetoproteina è la principale proteina plasmatica fetale, ed esercita delle funzioni del tutto simili a quelle dell’albumina. Le concentrazioni nel sangue tendono a incrementare gradualmente fino alla fine del primo trimestre, raggiungendo un picco di circa 3mg/ml tra la 10ma e la 13ma settimana.
Superata questa fase, i livelli di alfaproteina scendono in maniera rapida, con decremento esponenziale fra la 14ma e la 32ma settimana, al termine della quale ammontano a circa 0,2 mg/ml. La discesa è concomitante al progressivo aumento della sintesi di albumina, all’incremento del volume ematico e alla diminuita sintesi epatica di alfafetoproteina.
In merito, si ricorda come durante le primissime fasi di gravidanza, l’alfafetoproteina sembra diffondere dal circolo fetale al liquido amniotico mediante l’epidermide, che in queste fasi non è ancora cheratinizzata. Non appena i reni fetali iniziano a funzionare, verso la fine del primo trimestre, l’alfafetoproteina entra invece nelle urine del feto e da qui passa nel liquido amniotico.
Come intuibile, per poterne sapere di più vi consigliamo di consultare il vostro medico di riferimento, ed esprimer lui tutti i dubbi e le richieste di informazioni che potrebbero essere fondamentali per potervi permettere di trovare, o di ritrovare, un miglior benessere.