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Acetaminofene: cos’è e a cosa serve

Pubblicato da
Lorenzo

L’acetaminofene si caratterizza per essere un farmaco particolarmente diffuso, meglio conosciuto con il nome di paracetamolo, che è in grado di svolgere un’azione analgesica e antipiretica. Viene impiegato spesso singolarmente, ma in altri farmaci. L’acetaminofene si ritrova spesso nei medicinali da banco per la cura di patologie virali causate da raffreddamento, oppure in tutti quei farmaci che hanno come funzione primaria quella di curare il dolore cronico e quello acuto.

Come si deve somministrare l’acetaminofene

L’acetaminofene si può somministrare in differenti modi, anche grazie alla sua notevole biodispoinibilità, che di solito non è soggetta a modifiche degne di nota, a parte nel caso dell’epatopatia cronica. Nella maggior parte dei casi, con le dosi suggerite, però, i pericoli per il fegato sono praticamente pari a zero, al punto tale che l’impiego dell’acetaminofene è consigliato sia alle donne in gravidanza che ai bambini in età pediatrica. Il principale vantaggio dell’acetaminofene deriva sicuramente dal fatto che ha un effetto benefico sull’organismo praticamente immediata. Ci vogliono circa 11 minuti in seguito alla somministrazione orale per poter notare la sua azione analgesica, mentre l’emivita del farmaco è compresa tra 1 e 4 ore. Secondo i criteri direttivi della Farmacopea degli Usa, il limite massimo consigliato è di 4 grammi al giorno, mentre la singola dose non deve mai, per qualsiasi ragione, andare oltre il grammo. Secondo la Farmacopea italiana, invece, non bisogna superare i 3 grammi giornalieri.

Come agisce

L’acetaminofene si caratterizza per essere un farmaco antinfiammatorio non steroideo. Ecco spiegato il motivo per cui non ha un’azione antiaggregante e, dal punto di vista antinfiammatorio, ha un’attività leggera. Sembra che quest’ultima azione si possa ricondurre ad un blocco molto leggero del canale di sintesi delle prostaglandine.

Quali sono i principali effetti tossicologici

Dal punto di vista tossicologico, l’acetaminofene può diventare un pericolo nel momento in cui è presente in differenti farmaci, sia singolarmente che insieme ad altre sostanze, portando facilmente al sovradosaggio. Infatti, quando una persona supera la dose massima consigliata pari a 4 grammi al giorno (che si riferisce ad adulto che pesa almeno 80 chili), l’organismo ne può risentire notevolmente. In modo particolare, è il fegato l’organo che rischia di più con un sovradosaggio di paracetamolo. Nel momento in cui si verifica un avvelenamento provocato da un utilizzo eccessivo di paracetamolo, allora ecco che possono insorgere numerose complicazioni anche per i reni. In ogni caso, si tratta del farmaco meno nefrotossico tra tutti quelli che sono presenti in commercio per contrastare il dolore e i vari traumi. Ecco spiegato il motivo per cui l’acetaminofene viene spesso impiegato dai soggetti che soffrono di insufficienza renale che non possono usare i tradizionali FANS. Quando accade l’avvelenamento, ecco che l’antidoto maggiormente impiegato corrisponde all’acetilcisteina, che deve essere assunta in dosi particolarmente alte. L’alternativa è rappresentata dall’impiego di glutatione, che deve essere ridotto in endovena.

Controindicazioni in gravidanza

Sono state svolte diverse ricerche in ambito clinico per quanto riguarda le interazioni tra paracetamolo e donne in gravidanza o durante l’allattamento. Tutti questi studi hanno portato a concludere che non ci sono degli effetti teratogeni o fetotossici. In base ad altri studi minori, ci sarebbe un ridotto pericolo di aborto e di nascita prima dei termini previsti legato all’assunzione di paracetamolo. Secondo la FDA, però, questa ipotesi non corrisponde alla verità, al punto che l’acetaminofene è presente all’interno della classe B nell’elenco dei farmaci che si possono assumere in gravidanza. Ebbene, tale classe comprende quei medicinali secondo gli studi su animali non hanno messo in evidenza alcun tipo di pericolo per il feto.  Anche per quanto riguarda le donne che attraversano la fase di allattamento, l’impiego del paracetamolo non ha alcun tipo di controindicazione.

Quali sono le avvertenze

Negli adulti sani, l’acetaminofene può portare a tossicità epatica nel momento in cui si verifica un sovradosaggio oppure anche quando il periodo di tempo che passa tra le due dosi è più basso rispetto a quello che viene raccomandato (ovvero quando è inferiore alle 4-5 ore). Tra i principali sintomi connessi al sovradosaggio di paracetamolo troviamo senso di nausea e di vomito, sudorazione, crampi addominali, aumento delle transaminasi, incremento del tempo di protrombinemia ad oltre 20 secondi. Nei casi più gravi si può arrivare all’insufficienza epatica, all’encefalopatia e perfino al coma. Grande attenzione deve essere fatta anche all’interazione che c’è tra alcol e acetaminofene, visto che il fegato potrebbe essere maggiormente vulnerabili. Nel caso di alcolisti cronici sarebbe addirittura meglio evitare di non bloccare del tutto l’assunzione di bevande alcolica quando si sta seguendo una cura a base di paracetamolo. In tutti i pazienti in età pediatrica che soffrono di insufficienze renale o di disidratazione, il paracetamolo si caratterizza per essere considerato il medicinale di scelta rispetto all’ibuprofene. Per quanto riguarda i pazienti che soffrono di nefropatia cronica, non serve andare a ridurre il dosaggio di acetaminofene, così come un dosaggio normale non va a causare emolisi in tutti quei soggetti che soffrono di favismo.

Lorenzo