La tromboflebite è una infiammazione della parete di una vena, associata alla formazione di un trombo, ovvero di un coagulo ematico al suo interno. Come intuibile, il trombo può ostruire il flusso del sangue, rallentando la circolazione: proprio per questo motivo, la vena colpita da tromboflebite può diventare edematosa, irritata e dura alla palpazione.
Sono numerosi i motivi per cui può insorgere una tromboflebite. In linea di massima, la tromboflebite colpisce gli arti inferiori con maggiore frequenza, anche se non si può certamente escludere che possa colpire le vene del braccio o del collo. Inoltre, la tromboflebite può colpire sia le vene superficiali (tromboflebite superficiale) che le vene profonde (tromboflebite profonda, o trombosi venosa profonda). Ad essere maggiormente colpite sono le donne, e le persone in avanti con l’età.
Tornando alle cause, le principali sono da ricondursi alla riduzione della velocità del sangue nelle vene (ad esempio, a causa di una immobilità prolungata), o ai danni all’endotelio venoso (cioè alle pareti del vaso sanguigno). Ancora, altre ragioni possono essere ricondotte a tutte quelle condizioni che aumentano la tendenza del sangue a coagulare, come un deficit congenito della coagulazione, e fattori di rischio come la gravidanza e la presenza di vene varicose.
Le complicazioni nella tromboflebite superficiale sono molto rare: questo genere di tromboflebite può infatti generalmente risolversi spontaneamente, nell’arco di 7-15 giorni. Se invece la tromboflebosi si verifica in una vena profonda, il rischio di svilupare una grave condizione medica è naturalmente maggiore: si pensi alle conseguenze legate all’embolia polmonare (un blocco circolatorio determinato dal distacco di un frammento del trombo, che potrebbe ostruire un capillare dei polmoni), o all’infarto miocardico.
La tromboflebosi può essere diagnosticata con un’analisi del paziente e un esame obiettivo della zona interessata. Possono inoltre essere indicati alcuni esami, come quello del sangue, la venografia e l’eco-Doppler.
Di solito la tromboflebosi può essere definita come una malattia benigna autolimitante. Alcuni casi però possono rivelarsi particolarmente difficili da trattare. Ad ogni modo, proprio per la varietà della situazione clinica, i rimedi sono numerosi: per le tromboflebosi superficiali il medico potrebbe ad esempio limitarsi a raccomandare una terapia locale basata sull’applicazione di pomate specifiche, o l’assunzione di antinfiammatori.
Nei casi più gravi, invece, la tromboflebite potrebbe richiedere una terapia a base di farmaci più invasivi, utili per poter ridurre il gonfiore e trattare eventuali infezioni. L’obiettivo in caso di tromboflebosi profonda è quella di evitare la conseguenza più nociva, come l’embolia polmonare e l’insufficienza venosa cronica. Per questi motivi, sono di norma indicati i farmaci anticoagulanti, che comprendono l’eparina, che inattiva la trombina, e alcuni derivanti della cumarina, che hanno l’obiettivo di deprimere la sintesi di diversi fattori della coagulazione.
La tromboflebite può essere riconosciuta attraverso segni e sintomi che di norma sono ricollegati a tale condizione. Tra i principali, il dolore lungo il decorso della vena, l’edema (cioè, la tumefazione in prossimità della vena), il gonfiore dell’arto interessato, l’eritema e l’infiammazione della pelle.